Sì viaggiare!- Un giro d'Italia, nel nome della pasta



Indipendentemente dalle dispute degli storici, è un fatto assodato che l'Italia sia la patria della pasta per antonomasia e basta fare un salto all'estero per rendersene subito conto. Siam quelli degli spaghetti, delle lasagne, dei "macaroni" e anche se gli stereotipi stan sempre stretti,  affannarsi a negarli, in questo caso, è fatica sprecata. Anzi, peggio: inutile.Intanto, perchè significherebbe negare una tradizione illustre, che tanto ha dato e tanto darà alla nostra gastronomia, ora et semper, amen. E poi, perchè se mai c'è un banco di prova che ha promosso a pieni voti la creatività degli Italiani tutti è proprio questo piatto: quello che siam riusciti a fare noi, con un po' d'acqua, un po' di farina e quel che passa il convento per il sugo, sono in pochi ad eguagliarlo e in moltissimi ad invidiarlo. 



Purtroppo, però, c'è l'altra faccia della medaglia: tanto siamo eccelsi nell'inventare, quanto siamo pronti nel dimenticare. O nel rinnegare. O nel gettare alle ortiche il nostro glorioso "vecchio" per inseguire le suggestioni del "nuovo"- e più strampalate sono, meglio è.  Che lo si faccia per superficialità, per snobismo, per ignoranza, il risultato non cambia, ed è di quelli da angoli della boca piegati in giù. Gli Inglesi si stanno riappropriando da anni del "mangiar bene", attingendo a piene mani dai nostri prodotti e dalle nostre antiche abitudini, e  noi siamo fieri dell'aver preso la direzione ostinata e contraria, fatta di tramezzini unti e stantii in pausa pranzo e di sushi bar  rigorosamente cinesi alla sera.

Il nostro invito di oggi è di provare a cambiarla, questa direzione, iniziando un viaggio lungo la nostra Penisola, alla scoperta dei tipi di pasta "simil- pici" più antichi e dei loro condimenti. A fare da ciceroni, Elisa (Saporidielisa) ed io (Ale, MT), pronte a condurvi in questo "pasta tour" fra le regioni italiane: immaginateci con il microfono, il foglio dei partecipanti, scarpa comoda e ombrellino d'ordinanza e, fra le mani, il bandolo di questo filo che tutti ci lega e tutti ci identifica...

Cosa ne dite, partite con noi?




Come abbiamo visto in questi giorni, è difficile stabilire con certezza le origini della pasta, tuttavia sappiamo che nel Settecento ha conosciuto il momento di maggiore espansione in Italia. Alcuni studiosi sostengono che il merito di tale diffusione vada attribuito in parte agli studenti universitari i quali, dopo aver assaggiato questo cibo nelle grandi città lo hanno portato con sé, nei loro territori di origine. 
Spostandosi dalla città alle zone rurali, la pasta ha assunto dei connotati diversi a seconda dei luoghi in cui si andò a insediare: ogni territorio cominciò a far proprio questo alimento, accostandolo alle proprie tradizioni e agli ingredienti di cui disponeva. Il risultato di tale percorso è che ogni regione italiana ha un proprio modo di preparare la pasta fresca e di condirla. 
Questo dipende principalmente da due fattori: da un lato gli ingredienti, appunto, quei prodotti tipici, che oggi definiamo a km 0, dall’altro l’attrezzatura, presente in quelle aree che si distinguono per un’importante produzione artigianale e/o industriale. La parola d’ordine per il popolo era utilizzare ciò di cui si disponeva, sia per la pasta sia per il condimento: dando un’occhiata alla storia recente, è abbastanza usuale trovare impasti a base di sola acqua e farina (spesso farina di grano tenero e semola di grano duro) in zone del centro-sud o regioni più vicine al mare, mentre l’utilizzo delle uova è più diffuso al nord e laddove la tradizione contadina sia preponderante.


A differenza del vicino Piemonte, la Valle d'Aosta non ha una grande tradizione di pasta: le sue valli sono il tripudio delle zuppe, della polenta e degli gnocchi, tutti piatti che trovano la loro ragion d'essere nell'imperativo categorico di nutrire con poco.: interessanti, però, sono gli impasti con la farina di castagne, forse l'ingrediente più utilizzato e più trasversale di tutta la regione: si fanno tagliatelle e fettuccine, che si condiscono con la verza, con le noci oppure con il "fumet", un ragu di selvaggina fatto cuocere con ossa di vitello ed aromatizzato con vino bianco ed erbe.

Una manciata di km e la musica cambia, modulata com'è sulla diversità delle partiture che contraddistingue la cucina piemontese: che è povera e rustica ma anche borghese e soprattutto nobile e regale, degno compendio dei fasti della Corte e dei Palazzi che le ruotano attorno. Nella pur trionfale rassegna delle paste ripiene, spicca però un altro glorioso formato, la cui fama dura da secoli, meritatissima e imperitura: i tajarin delle Langhe, pasta lunga e sottile e ricchissima di uova. Sulla quantità di queste ultime, si accettano scommesse: c'è  chi parte dalla proporzione classica (un etto/un uovo) e chi arriva addirittura a 30, per un kg di farina. In tutti i casi, la "morte sua" sono il burro e il tartufo, a conferma di come, a volte, basti un semplice ma sapiente tocco, per trasformar un piatto ricco in una ricetta regale.


Ricchezza è la parola d'ordine anche per la tradizione gastronomica lombarda, forte di un territorio tanto prodigo quanto variegato, oltre che di una storia di diverse dominazioni, ognuna delle quali lasciò la sua traccia. Al pari del vicino Piemonte, anche nella cucina lombarda son le paste ripiene a farla da padrone (per non parlar dei risi e delle mminestre): ma basta dir Pizzoccheri per evocare un piatto emblema di una valle e delle sue risorse. Ritorna l'imperativo del nutrimento, con l'utilizzo del grano saraceno, a cui si abbinano due ingredienti simbolo di questa terra, quali le verse e il formaggio fresco, Bitto o similare.


Le prossime tre regioni- il Trentino Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia ed il Veneto- parlano la lingua seducente e pastosa delle terre di confine: Venezia fu per secoli l'unico tramite con l'Oriente e gli apporti della tradizione austriaca e slava costituiscono ben più che una semplice traccia nella gastronomia delle altre due regioni. Un viaggio in queste terre è praticamente senza fine, tali e tante sono le proposte che ci vengono offerte, così da rendere obbligata una selezione, limitata solo ai piatti che meglio si potrebbero legare al tema della nostra sfida: i Blutnudel, ovvero tagliatelle di farina bianca e farina di segale, impastate col sangue di maiale o di vitello e condite di solito con un sugo grasso, al limite anche burro fuso e salvia, per quanto riguarda l'Alto Adige; le Zie istriane, lunghi fili di pasta a base di farina e latte, conditi con ricotta affumicata, zucchero e cannella, per la Venezia Giulia; e i celeberrimi bigoli, altro vanto della gastronomia veneta, preparati con l'apposito torchio

Bigoli col Pocio
da Carnacina, L.- Veronelli, L.
La Cucina Rustica Regionale

 Impasto: 600 g di farina di grano saraceno; 2 uova intere; 50 g di burro fatto ammorbidire; 2 dl scarsi di latte; un pizzico di sale; Sugo: 300 g di carne magra di maiale (metà e metà), passata al tritacarne; 2 kg circa di polpa di pomodoro, passata al setaccio; qualche cucchiaio di bodo (acqua, in mancanza); un trito composto di una cipollina, 1 carotina, un pezzetto di costola di sedano e qualche fogliolina di basilico; 1 dl d'olio. 
Diversi: 100 g di formaggio grattugiato; fiocchetti di burro; sale, pepe e noce moscata Lavorare l'impasto e farlo riposare per almeno mezz'ora. Passare l'impasto all'utensile speciale per i bigoli (torchio a piastra con fori larghi). Mettere i bigoli man mano sopra un vassoio ricoperto da una salvietta leggermente infarinata e farli seccare bene allargati per 24 ore. Riunire in un tegame le carni tritate, la purea di pomodoro, il brodo, un pizzico di sale, il pepe e un'idea di noce moscata. Far prendere l'ebollizione e continuare la cottura moderata per circa 3/4 d'ora. In un altro tegame, far imbiondire il trito con l'olio e mescolarlo nel sugo in preparazione. Far cuocere i bigoli in abbondante acqua bollente, leggermente salata e sgocciolarli al dente. Ricoprirli con qualche cucchiaio di formaggio, con metà del sugo e con qualche fiocchetto di burro. A tavola, mescolarli e subito servirli, passando a parte il formaggio e il sugo rimasto 




Le attrezzature  per fare la pasta  vennero inventate proprio sulla base della tradizione locale: nelle città, luoghi di industrializzazione e di fermento di invenzioni, o nelle città portuali, contraddistinte dal continuo scambio culturale, le strumentazioni erano più complesse (ad es. i torchi meccanici); in campagna invece si trovavano attrezzi più semplici: ferri, pettine, chitarra, il solo mattarello o addirittura nient’altro che le mani. L’attrezzo, come l’ingrediente, diventava talvolta una sorta di status symbol, palesando il lignaggio di chi ne poteva disporre: si pensi ad esempio al corzetto, tipica pasta del genovese, a forma di dischetto, che in epoca medievale veniva decorata con uno stampo. Strumento semplice ma dal valore inestimabile, questo timbro rappresentava la casata nobiliare (spesso con una croce araldica) e ogni signore di palazzo poteva far sfoggio del suo stemma in occasione di banchetti e feste. 

Ma se si parla di pasta, la mente corre subito a quella terra che della sfoglia è il regno e ha nelle rezdore le sue regine e nel mattarello l'unico vero scettro: siamo arrivati in Emilia Romagna che, nel nostro viaggio, rappresenta l'ingresso in una zona- il Centro Italia- dove i pici toscani si apparentano con tante altre paste similari, che in Romagna si chiamano strozzapreti, in Umbria Pinci e Stringozzi e Umbrici e nelle Marche prendono altre forme ed altri nomi.

Ed è  qui ci attende una sosta- e una pausa pranzo golosa...
A Mercoledì
Elisa - Saporidielisa
Alessandra Gennaro- Menuturistico

 





Commenta il post
E
è strabiliante ogni giorno di più ...quanto davvero l'unione faccia la forza.... buon lunedì ragaze, Flavia
Rispondi
E
E buon viaggio a tutti allora :D
Rispondi
L
bello, bello, bello... ma si troverà ancora il torchio per i bigoli in giro?
Rispondi
C
Io ho già pronta la valigia....
Rispondi
A
volevo chiederlo proprio a te :-)<br />pensa che è già difficile trovare il Carnacina- Veronelli :-)
Rispondi